domenica 21 febbraio 2010

A voi

Intensa leggerezza
misteriosa passione
una dolorosa bellezza
è la mia maledizione

giovedì 18 febbraio 2010

Lezioni da due soldi da chi vuole solo soldi

Spesso accade che un concetto ne nasconda un altro. Prendiamo, ad esempio, il concetto di libertà, così come viene utilizzato da molti in Italia per costruire delle retoriche politiche .

Il governo è retto da un partito che fa leva sul concetto di libertà. Questo partito è però in realtà un partito in certa misura autoritario; sia al suo interno, nella scelta dei suoi massimi interpreti, e sia all'esterno, nella gestione della cosa pubblica. Quindi di quale libertà stiamo parlando? I cittadini desiderano libertà o autorità mascherata da libertà?

E, per non parlare solamente di politica, parliamo di televisione: la pubblicità della Ferrarelle propone messaggi di questo tipo : "Ama chi sei. E nessuno sarà mai come te!".

Ora, a parte il fatto che amare sé stessi non mi risulta sia una pratica poco diffusa in circolazione, e a parte il fatto che nonostante tutti si sforzino di distinguersi alla fine tutti rimaniamo abbastanza simili, io mi domando perché un telespettatore dovrebbe apprendere questi insegnamenti di vita, di così bassa qualità, da un industria che fornisce questi insegnamenti solamente per i suoi scopi commerciali.

Perchè la Ferrarelle, oltre ad invadere il nostro immaginario con le sue richieste d'acquisto non richieste, ci lancia queste massime, questi imperativi, che in qualche modo dovrebbero aiutarci a trovare una strada nel mondo?

La risposta in fondo è semplice: conoscono il disperato bisogno di autorità dei loro telespettatori, conoscono le loro insicurezze. E poichè i telespettatori sono anche elettori, un collegamento in tutto questo esiste.

Dalle urne ai divani tutti siamo finiti a prendere lezioni da due soldi da chi vuole solo soldi.

Il Principato di Cosimo I

Assassinando Alessandro, il giovane Lorenzino de Medici riaprì a Firenze la questione costituzionale. Il Principato non si era ancora radicato in modo certo e la successione al potere si rivelava incerta. In politica estera, il predominio dell'Imperatore sull'Italia centrale non era gradito al Papa Paolo III che pure, nei fatti, rimase sostanzialmente neutrale tra Carlo V e il monarca francese Francesco I.

Tre gruppi si formarono allora a Firenze: il primo, formato dai popolari, mirava all'istituzione della repubblica e del governo libero; il secondo,  formato dalle personalità un tempo fedeli ad Alessandro, sosteneva apertamente la sua fedeltà incondizionata all'Imperatore; mentre il terzo, formato dagli aristocratici che componevano il Consiglio dei Quarantotto, ambiva ad un Principato moderato non asservito alle volontà dell'Impero. 

Sostenuto da Francesco Guicciardini e da Francesco Vettori, fu eletto Cosimo de Medici, figlio del capitano di ventura Giovanni dalle bande nere. Questo non venne nominato Duca, ma soltanto Capo della città di Firenze. 

Sembrava dunque sconfitta la politica dei consiglieri filo-imperiali, che trovava nel cardinale Cybo il suo più prestigioso rappresentante.  Ma, una volta conquistato il potere, Cosimo I, consapevole della rilevanza politica dell'alleanza con l'Impero, finì per deludere le speranze della classe aristocratica, appoggiandosi proprio al partito degli antichi consiglieri di Alessandro. 

Sconfitta l'opposizione degli esuli fiorentini nella battaglia di Montemurlo, il 30 settembre 1537, Cosimo I ottenne dall'Imperatore la conferma del titolo di Duca e sposò Eleonora di Toledo, figlia del vicerè di Napoli.

La politica estera di Cosimo seppe abilmente districarsi tra Francia e Impero, appoggiando da un lato la monarchia francese e riconoscendo dall'altro la supremazia politica dell'imperatore. E di certo non si può negare efficacia a questo tipo di condotta, visto che questa riuscì a riconsegnare a Firenze una certa dose di autonomia insieme alle fortezze perse durante gli anni della crisi. 

Non da meno fu l'abilità di Cosimo nel gestire gli affari interni al dominio fiorentino. In controtendenza rispetto ai suoi predecessori egli  non cercò di sfruttare i conflitti interni alle città a lui sottoposte, ma tentò di affermare la sua autorità assicurando la pace e la giustizia.  



mercoledì 17 febbraio 2010

L'epoca di Alessandro de Medici

Il nuovo Gonfaloniere Giovanni Corsi si vide costretto a fronteggiare una situazione difficile: le carestie, il rialzo dei prezzi e la minaccia sempre presente dei lanzichenecchi complicavano, in quegli anni, la situazione di Firenze, disastrata dal punto di vista economico e finanziario.
Per sua fortuna, gli aristocratici erano talmente provati dagli anni della repubblica da sostenerlo in modo, ormai, incondizionato. Senza più cariche, privati delle loro fortune, i Grandi assicurarono sottomissione al nuovo regime, approvando, adesso senza più rivendicazioni, la politica reazionaria del Gonfaloniere. Troppo pesanti erano stati i danni subiti da questa classe dominante durante gli anni della repubblica, così che anche i più moderati tra i Grandi arrivarono a provare un forte risentimeno nei confronti del popolo, degli Arrabbiati e della tradizione repubblicana.

I Medici, garanzia dell'ordine costituito, costruirono in questi anni il totale asservimento della classe aristocratica che ormai riteneva auspicabile un rafforzamento della loro supremazia.
Alla fine del 1530, a rappresentare i Medici a Firenze fu inviato lo Schomberg con il compito di rimettere in piedi l'antico sistema di governo mediceo, anche a costo di agire con la massima severità. Il 6 luglio venne letto in città un messaggio dell'Imperatore che pur non abolendo le istituzioni esistenti nominava Alessandro de Medici, rientrato a Firenze il giorno precedente, capo della Città.

Durante l'inverno del 1531, Clemente VII si adoperò, in vista di una riforma costituzionale, a sondare gli animi dei maggiori cittadini fiorentini, convocando a Roma Filippo Strozzi, Jacopo Salviati e Roberto Pucci. L'unico ad opporsi apertamente al Principato fu Jacopo Salviati. Il 4 aprile, dunque, attestate le deboli resistenze, la Balia nominò dodici personalità con il compito di operare le modifiche costituzionali reputate necessarie. La Signoria e il Gonfaloniere furono aboliti, mentre furono istituiti il Consiglio dei Duecento, il Consiglio dei Quarantotto e la figura del Duca.

Alessandro de Medici, a questo punto, forte della nomina a Duca, potè dispiegare pienamente la sua politica, cercando consenso nei ceti inferiori e mirando ad instaurare l'eguaglianza di tutti di fronte alla legge, a danno degli aristocratici. Questo comportò la crescita dell'opposizione di una parte dei Grandi, testimoniata ad esempio dall'avvicinamento di Filippo Strozzi al gruppo di opposizione formatosi a Roma.

Qui, nella città del Pontefice, esuli repubblicani e aristocratici si erano uniti inizialmente nella critica alla politica autoritaria di Alessandro. Unione, però, fragile e destinata a svanire, a causa delle sostanziali differenze ideali esistenti tra le due parti: mentre i repubblicani desideravano la reintroduzione della Costituzione del 1527, gli aristocratici ambivano all'edificazione di un governo oligarchico.

Messo in qualche modo al sicuro dai dissidi interni all'opposizione, Alessandro fu libero di pianificare la sua politica estera. Seguito dalla schiera degli aristocratici a lui fedeli, come Francesco Guicciardini, Roberto Pucci e Francesco Vettori, Alessandrò si recò, per tessere formali rapporti di amicizia, a Napoli dall'Imperatore. Un risultato di questi rapporti fu il matrimonio tra Alessandro e Margherita d'Austria, che assicurava a Firenze l'amicizia di Carlo V a costo di una notevole dipendenza da questo.

La questione costituzionale che sembrava essersi conclusa senza tanti strascichi fu però riaperta all'improvviso dal giovane Lorenzino de Medici, che il 6 gennaio 1537, uccise il Duca durante la notte.

La restaurazione della repubblica a Firenze (1527-1530)

Nel 1527 Firenze è governata, per conto dei Medici, da Silvio Passerini. La sua politica inefficiente si macchiò di una pericolosa inaccortezza. Egli escluse gli aristocratici dalla gestione dello Stato, facendo scattare la loro immediata opposizione. Francesco Vettori, Niccolò Capponi e Jacopo Salviati furono i maggiori rappresentanti dell'aristocrazia insoddisfatta nelle sue tradizionali pretese.

Intanto, in Italia, calavano le truppe dell'Imperatore. Temendo l'attacco nei confronti di Firenze, molti cittadini cominciarono a reclamare le armi per la difesa della città. Il Passerini, in un primo momento, promise di consegnarle. Ma, quando egli venne meno a questa promessa, il 16 aprile venne occupata per protesta la Signoria. I Medici vennero dichiarati ribelli, le armi furono distribuite e venne reintrodotta la costituzione repubblicana. Questa giornata, passata alla storia come "tumulto del venerdì", provocò l'immediata reazione dei cardinali e delle truppe della Lega. Il potere mediceo venne così prontamente ristabilito, mentre ai ribelli, grazie alla mediazione di Francesco Guicciardini , Francesco Vettori e Jacopo Nardi, fu assicurata l'impunità.

Il 6 maggio però le truppe imperiali entrarono a Roma, facendo crollare la base del potere mediceo e dunque fornendo una nuova possibilità all'opposizione aristocratica fiorentina.
Dieci giorni dopo, entrò a Firenze Filippo Strozzi, personalità fornita di numerose relazioni politiche e e rilevanti disponibilità economiche. Fu lo stesso Strozzi ad accompagnare il Passerini fuori da Firenze. Da quel momento, il potere esecutivo venne affidato temporaneamente a un consiglio di centoventi cittadini. Una volta convocato il Consiglio Grande, vennero distribuite le cariche, eletti i Dieci di Balia e nominata la Signoria. Come primo Gonfaloniere, a seguito di un'accanita battaglia elettorale, venne elette Niccolò Capponi.
Sostenitore di un'oligarchia moderata, proveniente da una famiglia nobile, Niccolò Capponi fu contrastato fin dall'inizio del suo governo da nemici personali, da Piagnoni e Arrabbiati.
In politica estera, egli si accordò, da una parte, con la monarchia francese e, dall'altra, strinse un accordo con l'Imperatore, affinché le truppe imperiali non occupassero Firenze dopo aver lasciato Roma.

Intanto il Papa Clemente VII, membro della famiglia Medici, tornò in libertà il 7 dicembre. Il suo giudizio sul governo fiorentino non poteva che essere negativo. Il nuovo governo repubblicano, oltre a scalzare dal potere il rappresentante della sua famiglia, aveva deciso imposte sulle proprietà ecclesiastiche e rimosso, dai palazzi, le insegne medicee.
Per assicurarsi in politica estera, Niccolò Capponi iniziò ad intrattenere un carteggio segreto con il pontefice. Scoperto questo carteggio, venne proibito al Capponi di trattare all'insaputa dei Dieci di Balia. Perciò, quando fu scoperto un ulteriore carteggio il Capponi venne sostituito con Francesco Carducci, il massimo rappresentante degli Arrabbiati.

A questo punto a dettare la linea politica fu il ceto medio fiorentino, permeato del messaggio savonaroliano e legato alla tradizione repubblicana più radicale. Così, per una seconda volta a Firenze, il discorso politico trovò fondamento nel discorso religioso, e durante l'ultima fase della republica fu adottata, nei confronti dei Grandi, una politica vessatoria fatta di arresti e pesanti oneri fiscali.

Letale per la Repubblica fu la sua politica estera, e in particolare il suo attaccamento all'alleanza con la monarchia francese. La proposta del Capponi di trattare con il Papa fu respinta e così, il 29 giugno 1529, Carlo V promise a Clemente VII aiuto per la conquista di Firenze, mentre Francesco I abbandonava i suoi tradizionali alleati italiani.
Così, il 12 agosto 1530, dopo un lungo assedio, Firenze firmò la resa, fu costretta a giurare obbedienza all'Imperatore e a rinunciare alle ambizioni repubblicane.

Il 20 agosto, il parlamento nominò una Balia composta di dodici membri aristocratici che sospese le altre magistrature. Il 1 settembre, una nuova Signoria e il nuovo Gonfaloniere Giovanni Corsi cominciarono a lavorare.

Il Principe - Capitolo VIII - 23

"Credo che questo avvenga da le crudeltà male usate o bene usate. Bene usate si possono chiamare quelle, - se del male è lecito dire bene, - che si fanno a uno tratto per la necessità dello assicurarsi: e di poi non vi si insiste dentro, ma si convertono in più utilità de' sudditi che si può. Male usate sono quelle le quali, ancora che nel principio sieno poche, più tosto col tempo crescono che le si spenghino. Coloro che osservono el primo modo, possono con Dio e con li uomini avere allo stato loro qualche rimedio, come ebbe Agatocle; quegli altri è impossibile si mantenghino.
Onde è da notare che, nel pigliare uno stato, debbe lo occupatore d'esso discorrere tutte quelle offese che gli è necessario fare, e tutte farle a uno tratto, per non le avere a rinnovare ogni dì e potere, non le innovando, assicurare li uomini e guadagnarseli con benificarli. Chi fa altrimenti, o per timidità o per mal consiglio, è sempre necessitato tenere il coltello in mano; né mai può fondarsi sopra e' sua sudditi, non si potendo quegli, per le fresche e continue iniurie, mai assicurare di lui. Per che le iniurie si debbono fare tutte insieme, acciò che, assaporandosi meno, offendino meno; e' benifizi si debbono fare a poco a poco, acciò si assaporino meglio. E debbe soprattutto uno principe vivere in modo, con e' suoi sudditi, che veruno accidente o di male o di bene lo abbia a fare variare: perchè, venendo per li tempi avversi le necessità, tu non se' a tempo al male, e il bene che tu fai non ti giova perché è iudicato forzato, e non te n'è saputo grado alcuno."

martedì 16 febbraio 2010

Academia fiorentina e Storiografia

1.

L'Accademia fiorentina nasce durante gli anni del Principato. Svolge il ruolo di centro di elaborazione della cultura cortigiana che progressivamente sostituirà quella umanistica. Possiamo dire quindi che i nuovi orientamenti della vita letteraria e e culturale, durante gli anni del principato, vengono a svilupparsi all'interno di una istituzione organica allo Stato. E qui sta la novità rispetto agli Orti Oricellari che invece costituivano uno spazio all'interno del quale gli intellettuali umanisti potevano discutere liberamente e spontaneamente.
L'Accademia insieme al Principato interpretano il fondamentale bisogno di autorità che in quegli anni la società esprime. La crisi della concezione umanistica dell'uomo fa venire meno la fede nella ragione e da spazio ad una rinnovata religiosità.

2.

Agli inizi del Cinquecento nasce la storiografia moderna. Machiavelli e Guicciardini ne sono i principali fondatori. Essi rompono con il contrasto tra città celeste e città terrena e riprendono concetti antichi come la legge ciclica, il concetto di fortuna e l'analisi dei conflitti politici e sociali. Certo che una spinta alla storiografia moderna è data dalla crisi politica che imperversa in quegli anni. La crisi infatti impone realismo e richiama l'interesse generale degli intellettuali per l'analisi politica.
Gli storici del Cinquecento, in particolare, danno inizio a quel filone noto come "storiografia pragmatica". Le caratteristiche di questo tipo di storiografia sono due: da una parte, viene prestata esclusiva attenzione ai fatti politici e militari, dall'altra è tipico di questa storiografia cercare di trarre delle lezioni e degli insegnamenti dalla storia.
Famosi storici fiorentini del Cinquecento sono: Jacopo Nardi, Filippo de Nerli, Bernardo Segni, Jacopo Pitti, Bernardo Varchi e Giambattista Adriani.

Di cultura popolare in Machiavelli

Di cultura popolare in Machiavelli pare io non possa parlare. In effetti, mancano fonti scritte che attestino un'influenza di questo tipo di cultura "bassa" sull'autore. Nè è certo che questo tipo di cultura "bassa" a cui mi riferisco abbia prodotto fonti scritte.

Le fonti di Machiavelli appartengono tutte alla cosiddetta cultura "alta", alla cultura latina e umanistica. Egli traduce il De rerum natura di Lucrezio, legge e commenta con attenzione Livio.

Quello che però io ritengo rilevante non omettere all'interno del pensiero di Machiavelli è la sua disposizione naturale, la sua innata vocazione verso il sarcasmo goliardico, verso l'irriverenza, verso la dissacrazione. Tratti, sicuramente presenti anche nella cultura colta e potremmo dire istituzionale, ma che appaiono caratteristici e pulsanti nella cultura popolare.

Ora, in effetti, sembrerebbe eccessivo stabilire dei solidi nessi causali tra questa sua vocazione personale e la cultura comico popolare diffusa in quegli anni a firenze, e , molto probabilmente, Machiavelli non arrivò a certe considerazioni politiche a causa della sua personale inclinazione verso il comico e la cultura "bassa". Che egli fosse un estimatore della cultura alta, questo nessuno vuole metterlo in discussione! Egli prende molto del suo pensiero dagli storici latini.

Io voglio solamente dire che il suo particolare sguardo sulle cose non credo lo portasse ad arrichirsi di un aspetto e tralasciarne un altro. Così, come nel pensiero politico e in ambito artistico, egli si dimostra sempre attento alla compresenza degli opposti e a loro conflitto.

Mi pare strano che, accanto a ciò che noi chiamiamo "alto", egli non portasse con sè anche un pò di "basso". Che poi quel basso non fosse scritto ma magari solamente vissuto e parlato, questo è un altro discorso.

Il problema, dunque, risiede nel fatto che, non essendo dimostrabile e verificabile questo arricchimento dal "basso", in teoria noi non dovremmo parlarne. In teoria.

Il Principe - Capitolo VI - 1

"Non si maravigli alcuno se, nel parlare che io farò de' principati al tutto nuovi e di principe e di stato, io addurrò grandissimi esempli. Perché, camminando gli uomini sempre per le vie battute da altri e procedendo nelle azioni loro con le imitazioni, né si potendo le vie d'altri al tutto tenere né alla virtù di quegli che tu imiti aggiungere, debbe uno uomo prudente entrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quegli che sono stati eccellentissimi imitare: acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore; e fare come gli arcieri prudenti, a' quali parendo el luogo dove desegnano ferire troppo lontano, e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il luogo destinato, non per aggiungnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere con lo aiuto di sì alta mira pervenire al disegno loro."

venerdì 12 febbraio 2010

#9

Da cosa nasce cosa. Questo è il succo del meccanismo. Comprendere da cosa è nato cosa. Questo è lo sforzo del racconto, il mistero celato dietro al fatto.

giovedì 11 febbraio 2010

#8

Non sarà che alcuni scrittori, consapevoli che l'amore svanisce, si illudono di amare la scrittura per avere qualcosa d'amare per sempre?

sabato 6 febbraio 2010

Il Principe - Capitolo III - 40

E' cosa veramente molto naturale e ordinaria desiderare di acquistare: e sempre, quando li uomini lo fanno, che possono, saranno laudati o non biasimati; ma quando e' non possono, e vogliono farlo in ogni modo, qui è lo errore e il biasimo.

martedì 2 febbraio 2010

Il Principe - Capitolo III - 18

"Per che si ha a notare che gli uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere: perché si vendicano delle leggieri offese, delle gravi non possono; si che la offesa che si fa all'uomo debbe essere in modo che la non tema la vendetta."