venerdì 29 maggio 2009

Appunti (II) : "Eretici italiani del Cinquecento"

Capitolo secondo. La predicazione apocalittica di riforma e la crisi del Rinascimento.

"Il Concilio provinciale fiorentino promulgato da Giulio de' Medici per riprendere ed applicare nella città del Savonarola i decreti di riforma della Chiesa del Lateranense [..] non ha avuto grande eco nella storia politica né in quella religiosa di Firenze, benché sembri rientrare nel quadro generale della politica medicea di questo periodo, volta a cattivarsi gli animi dei fiorentini attraverso il soddisfacimento delle loro aspirazioni."

"Un'altra proibizione il Concilio fiorentino del 1517 riprende dal Lateranense, applicandola a casi specificamente fiorentini: quella del libero e ispirato predicare, e quella del profetare vicino il tempo della grande trasformazione e del giorno del Giudizio."

"E non si trattava soltanto di predicatori savonaroliani, come il famoso fra' Teodoro, che si spacciava per "papa angelico", predicando la "renovatione della Chiesa, e ne' tempi nostri", o come il predicatore dei fanciulli, Pietro Bernardo o fra' Bernardino."

"Si tratta dell'espressione di un disagio religioso largamente diffuso nei ceti popolari come pure nella classi più colte, e che si manifesta in diversi luoghi con gli stessi caratteri di energia vaga e indeterminata. Non si può certo riportare al savonarolismo il procedere di quell'eremita senese che appare a Bologna nel 1517 "vestito di colore bigio con i piedi scalzi", facendosi chiamare "missus a Deo", predicando senza farsi annunciare dalle campane, discendendo dopo la predica a riposare fra il popolo, sulle panche di tutti, e non chiedendo altra elemosina "che quanto gli bastasse di vivere parcamente di giorno in giorno" : povertà dunque nel senso più letterale, e accentuazione del dispregio per le differenze gerarchiche fra il comun popolo cristiano e il "messo da Dio"."

"Era "la voce di eremiti e profeti, i quali apparendo d'improvviso, traevano gli animi di molti... verso visioni minacciose e apocalittiche di rovina e di disperazione". Queste voci religiose della crisi italiana non avevano in genere che rapporti molto lontani con il savonarolismo."

"Il carattere di questa insoddisfazione e di questa attesa generale riguarda, da una parte, la cultura umanistica e i suoi rapporti con la tradizione dottrinale cattolica: si sente il bisogno di un ripiegamento, di un ritorno ai motivi originariamente cristiani anche per la cultura filosofica; si incomincia ad avere timore dello sviluppo della filosofia e del pensiero razionale. E questo momento si unisce al fermento mentale delle popolazioni, fuori della ristretta cerchia dell'umanesimo, attraverso la insoddisfazione per la situazione morale e per la corruzione dei costumi tanto nella società laica quanto in quella ecclesiastica. Nella incertezza delle coscienze l'anticlericalismo dei predicatori vaganti, dei visionari, degli ispirati, trovava un facile appiglio di esaltazione..."

giovedì 28 maggio 2009

Appunti: Eretici italiani del Cinquecento

"Il lavoro si è venuto configurando come una ricerca sulla attività e sulle idee di alcuni gruppi di intellettuali italiani, attratti dall'ideale di una maggiore serietà morale e religiosa, da ogni punto di vista considerata, venuti per questo ideale in lotta con le autorità dei loro paesi..."

Capitolo Primo. Umanesimo e problemi religiosi

"Dopo il Savonarola, la tendenza dei laici a occuparsi di problemi religiosi assumeva una maggiore energia e un carattere particolare; l'interesse dell'umanesimo per i problemi religiosi non era solo di carattere filosofico generale, ma anche teologico ed etico-politico, volgendosi a problemi che fino a quel momento si solevano riservare al clero, regolare o secolare, a causa delle loro implicazioni pratiche.
In questa forma consapevole e polemica il nuovo modo di affrontare i problemi tradizionali si era presentato anzitutto nel Valla. Oltre che nelle opere più note dell'umanista romano, accenni di polemica teologica ispirata a motivi filologici si trovano anche nelle Elegantiae, dove il Valla polemizza spesso anche contro filosofi come Boezio, introducendo nella cultura italiana il gusto della ermeneutica filologica, il desiderio di conoscere precisamente il significato delle parole, per non lasciarsi traviare da splendori di oratoria eloquenza o da pregiudizi, reverenze, tradizioni"

"Il metodo ermeneutico giuridico e teologico, trasportato nel campo della cultura nuova, letteraria e filosofica, tutta compenetrata di preoccupazioni di rinnovamento morale, acquistava valore profondamente rivoluzionario. Poiché la precisione e la chiarezza delle parole e dell'intendimento del loro significato hanno importanza puramente tecnica, di purezza terminologica, quando rimangono limitate a problemi specifici e particolari, ma assumono importanza decisiva e fondamentale quando riguardano problemi universali, di idee. L'esigenza posta dal Valla era quella di portare all'espressione piena e precisa le esigenze morali della nuova società italiana che si sentiva aduggiata da formulazioni e tradizioni culturali ormai vuote di sostanza e ridotte in grande parte a schemi e convenzioni."

"Nelle scuole, i metodi della critica razionale, astratta, così importanti altra volta, si isterilivano in vuoti formalismi; portando questi metodi nella cultura viva, il Valla fece loro riacquistare la originaria energia e il primitivo significato di istanza critica, e insieme la loro importanza per la vita politica, intesa non nel senso di rapporti fra potentati, ma di lotta degli uomini per le istituzioni che debbono regolare la loro convivenza."

"Ma quando uomini di cultura umanistica volsero il loro interesse di laici, partecipi del moto della riforma religiosa ma sciolti, dopo il distacco dalla tradizione cattolica, da preoccupazioni di ortodossia, all'esame delle questioni religiose, ricorsero ai criteri ermeneutici del Valla..[..]..e si può dire che gli eretici italiani del Cinquecento fossero condotti sulla strada che li doveva portare così lontano non solo dalla tradizione cattolica ma anche dalle esigenze religiose della Riforma, proprio dalla coscienza del valore che pei problemi che li agitavano aveva il nuovo consapevole linguaggio, il nuovo modo di studiare il significato delle parole per raggiungere la verità al di là di ogni altra preoccupazione."

"Un altro grande passo nel campo dei problemi della teologia e della religione cristiana aveva compiuto la cultura laica dell'umanesimo attraverso il circolo fiorentino del Ficino e del Pico e dei loro amici di tutta Italia."

"Non si tratta soltanto del fatto che Marsilio Ficino accanto alle meditazioni e costruzioni filosofico-religiose accentrate sull'inizio del quarto evangelo ci ha lasciato un commentario all'Epistola ai Romani, che affronta molti problemi, continuando fra l'altro quella critica al testo della Vulgata che era stata iniziata dal Valla, e avvicinandola a quel tipo di trattazione che doveva poco tempo dopo venir ripresa da Erasmo con tanto successo; ma soprattutto dell'importanza che hanno avuto gli accenni e gli spunti di critica implicita e inconsapevole al dogma basilare della tradizione dottrinale del Cristianesimo, che si possono trovare nei trattati e nei commentari platonici del Ficino: gli accenni al dogma della Trinità."

"Dallo stesso movimento fiorentino, tendente alla dimostrazione razionale e consentanea alla nuova cultura delle verità tradizionali della fede, procede una reazione fideistica, e quanto alle possibilità della filosofia, profondamente scettica: scettico infatti è il pensiero di Giovan Francesco Pico della Mirandola riguardo all'assunto del Ficino di fondare la fede cristiana sulla filosofia antica, platonica e aristotelica insieme."

"Questi motivi di scetticismo di fronte alle grandi speranze degli umanisti, e di ripiegamento su posizioni fideistiche, troveranno anch'essi la loro esplicazione manifesta portata all'estremo nel pensiero degli eretici italiani, che spesso passano dalle argomentazioni razionalistiche più ardite alle posizioni mistiche e devozionali più affini alla tradizione."