lunedì 20 settembre 2010

Di solo pesce lesso?

Pappo
tranelli e abbocco
fin dal primo giorno

Sono l'ingenuo, amici!
bello di mamma, nella
rete, urlo forte: "presente!"

3 commenti:

Gingko ha detto...

In particolare trovo fulminante l'indagine del nesso tra ingenuità e rete. L'ingenuità, che sia o meno consapevole è qui ammirevolmente lasciato in secondo piano, sembra avere da un lato qualcosa in comune con l'automatismo, con la rete, con la cattura in quelle reazioni meccaniche prive di una libertà critica nei confronti di ciò che ci si para innanzi, che sembra apparentarla ad una servitù. Ma d'altra parte in queste parole è possibile avvertire un senso di liberazione, di scotimento dal greve fardello della servitù opposta, quella dell' "astuzia" e della ragione a tutti i costi indagatrice che scova i tranelli e se ne immunizza.
Una felicità attinta pienamente, attualmente, nell'attimo, integrale, libera dall'dentità con cui il passato ci determina ("urlo forte: presente!", certo sono qui, ma sono qui ora, sono presente, ovvero mi presento adesso, sono davanti a voi in quest'attimo) è virtualmente possibile solo dopo la deposizione del sospetto. Certo, non nel ritorno all'ingenuità meccanica e cieca che tutto subisce perchè di nulla si accorge. Ma nella "seconda ingenuità" che scaturisce da una dialettica che, compresa a fondo la struttura strategica delle relazioni tra i viventi, compresa tutta la realtà della colpa, della colpevolezza che sorge dalla conoscenza del bene e del male e perciò ci investe anche se non compiamo nulla di male, anche se non facciamo nulla, si immerge catarticamente in essa, sa poi auto-indursi in uno stato di spossatezza nervosa, rilassi improvvisamente tutte le tensioni muscolari provocate da questa comprensione, e sappia vedere l'altro lato della colpa, ovvero la salvezza e la redenzione. Questo significa urlare: presente tra le strette maglie dell'ingenuità. La catastrofe chem anche se eterna, esibisce il lato per cui essa è fine, quindi anche di se stessa. Analogamente al modo in cui nella dialettica hegeliana gli estremi passano nel loro opposto, il finito, preso sul serio, condotto all'estremo della sua finitezza, in quanto finisce, rivela la sua non-verità.

Alceverde ha detto...

eppur senziente.

Gingko ha detto...

In realtà prima di questo avevo pubblicato un altro lungo commento (ecco perchè questo inizia con un altrimenti difficilmente comprensibile "In particolare...", ma ora non sono in grado di riprenderlo esaustivamente, e ne riassumerò in breve il contenuto.
Della serie dei componimenti "Di solo...", mi colpisce la piena traducibilità, senza cadere nell'errore di pensare che stia parlando di una particolare disposizione alla parafrasi (che in tal caso le composizioni sarebbero ben più povere). Per traducibilità intendo la chiarezza e la trasparenza con cui i versi lasciano intravedere il contenuto concettuale e non-petico (ma piuttosto "intellettuale") della poesia. La poesia è sempre accompagnata dall'elemento concettuale, e lo racchiude non come la scrigno l'anello, ma come il cristallo la goccia. Nel tuo caso questo elemento concettuale non è offuscato da arazzi manieristici, né confuso (per incapacità, o ad arte) per dare la falsa apparenza di profondità; rimane invece puro ed integro, dai contorni netti. Ripeto, non voglio dire che lo stetto effetto dei tuoi componimenti potresti ottenerlo veicolando il concetto in prosa. Anzi, il tuo verso conferisce compattezza, impatto e purezza al contenuto concettuale, trasformandolo in qualcos'altro, serrando nel pugno improvviso della poesia il fruscio continuo e liquido della prosa.